L’Eni, al Sissi e il caso Regeni

Giovedì scorso al Cairo c’è stato un lungo incontro fra l’Amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi e il presidente egiziano Mohammed Abdel Fattah al Sissi nell’elegante palazzo di Heliopolis. Sappiamo che sono in ballo molti denari fra Italia e Egitto relativi allo sfruttamento del gigantesco campo gasiero di Zohar scoperto dall’Eni nel 2015 al largo delle coste di Alessandria. Con una stima di 850 miliardi di metri cubi di gas, Zohar è il più grande giacimento mai scoperto nel Mediterraneo. Lo sfruttamento  di questa immensa risorsa energetica metterà al sicuro l’Egitto dai problemi energetici per almeno un secolo e porterà buone royalties nei bilanci della nostra Eni.

  L’Eni ha annunciato Descalzi al presidente egiziano aumenterà i propri investimenti nella ricerca a 3,5 miliardi dollari nel 2017. Ma soprattutto ha spiegato che l’Egitto è attualmente  in cima alla lista dei 53 Paesi del portafoglio di investimenti dell’Eni, secondo quanto ha scritto “Al Ahram” venerdì scorso.

   Ci sarebbe da complimentarsi per una nuova affermazione del talento e professionalità italiana, della capacità delle nostre società di farsi largo in un mercato internazionale – specie quello energetico – dove la lotta fra le company è veramente all’ultimo sangue. Se il Paese non fosse l’Egitto, Paese da dove l’Italia l’anno scorso ha ritirato il proprio ambasciatore per protesta contro le “bugie” sul rapimento e la morte di Giulio Regeni, il ricercatore italiano scomparso alla fine di gennaio 2016, il cui corpo brutalmente torturato venne scoperto il 3 febbraio dell’anno scorso.

   In un anno – segnato da ricostruzioni false e  presunti colpevoli di comodo – modestissimi passi in avanti sono stati fatti nelle indagini e il livello di collaborazione fra la Procura di Roma e quella del Cairo che indaga è ancora balbettante. Sappiamo chi l’ha denunciato alla polizia come spia, il capo del sindacato degli ambulanti del Cairo che invece Giulio voleva usare come fonte per la sua ricerca sui cambiamenti sociali in Egitto dopo la caduta del raìs Mubarak. Ma poco altro.

     Lo scorso febbraio dalle colonne di “Repubblica”, mentre ero al Cairo per seguire il caso di Giulio, ho scritto che certamente un’ottima arma di pressione sull’Egitto sarebbe stato il congelamento di questo contratto di cui allora già si parlava: si firmerà quando verrà presentata una verità possibile su Giulio, su come sono andate le cose in quelle drammatiche settimane un anno fa, chi sono i colpevoli e come verranno processati. Perché è vero che “pecunia non olet” – come dicevano i latini – ma è anche vero che in Italia c’è bisogno di uno scatto di orgoglio.

     Il premier di allora Renzi, finse di non capire. Il nuovo primo ministro Paolo Gentiloni (che all’epoca era ministro degli Esteri e quindi conosce perfettamente il dossier Regeni) farà diversamente o continueremo in questa rappresentazione da teatro kabuki?

Ma soprattutto quante linee di politica estera ci sono? Siamo sicuri che governo e Eni stanno andando nella stessa direzione?

    

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L’incontro al Sissi-Descalzi (foto da Al Ahram)

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