Gaza, a Fatah il mondo di sopra per Hamas il mondo di sotto

Ancor prima di capire se l’accordo raggiunto e firmato al Cairo fra Fatah e Hamas è conveniente o meno per Israele, su cui si affannano a trovare una risposta i giornali israeliani del week end, viene da chiedersi prima se questa è l’ennesima intesa di cartone oppure no. Per dovere di cronaca bisogna registrare che questa è la quinta riconciliazione annunciata (e subito fallita) dal 2007, da quando Hamas nella metà di giugno di quell’anno, con una battaglia di tre giorni, cancellò militarmente la presenza di Fatah nella Striscia, impadronendosi di Gaza.
Hamas alle discussioni del Cairo ha schierato il suo nuovo stato maggiore, Ismail Haniyeh fresco segretario generale, Yahia Synwar, capo nella Striscia, Moussa Abu Marzuk, capo delle relazioni internazionali. Il premier dell’ANP Rami Hamdallah, il segretario di Fatah Ahmed Azzam dall’altra parte. Garanti ancora una volta delle buone intenzioni delle parti i servizi segreti egiziani, perché è nel loro quartier generale di Helipolis che ancora una volta è stata raggiunta quest’intesa, con Khaled Fawzi, capo della direzione generale dell’intelligence dell’Egitto presente alla firma.
Il testo resta ancora segreto, nelle dichiarazioni i partecipanti ai colloqui del Cairo hanno riempito i loro commenti con i soliti pomposi aggettivi e verbi. Ma di concreto sull’accordo hanno detto davvero poco. Trapela che tremila uomini della Polizia dell’ANP di Abu Mazen saranno dislocati nella Striscia. Si suppone al valico di Rafah con l’Egitto per controllare e agevolare il traffico merci di cui Gaza ha un disperato bisogno. Finora sono circa 800 i grandi Tir che entrano ogni giorno da questo valico trasportando qualunque genere di materiali, dal marmo al cemento, dalle lavatrici ai banchi di scuola, dalla Coca-Cola alle sigarette. E’ la vena giugulare per due milioni di palestinesi. Da qui transitano – sempre sotto il controllo israeliano – anche gli aiuti alimentari che l’Unrwa distribuisce nella Striscia a 1 milione di abitanti.
Ma nonostante ciò Hamas resta con i suoi 25.000 uomini inquadrati nelle Brigate Ezzedin Al Qassam, tutti ben armati e esperti dopo le tre guerre combattute con Israele dal 2008, la forza militare più imponente nella Striscia. Il destino dell’ala armata – e dei suoi arsenali nascosti nei tunnel sotto la Striscia – è la chiave per capire il destino di questa intesa. Hamas vuole cedere il controllo civile sulla Striscia di Gaza all’ANP, ma non di disarmare, almeno fino a quando non sarà previsto un accordo per porre fine all’occupazione, nel qual caso Hamas e le altre fazioni armate avranno un vero motivo discutere la questione.
Il presidente palestinese Mahmoud Abbas, 83 anni, e Fatah nel prossimo futuro non hanno nulla da offrire al popolo palestinese per quanto riguarda il processo di pace, tenuto conto delle dichiarazioni del premier israeliano Benjamin Netanyahu e dei suoi ministri. Se c’è una remota possibilità che il presidente americano Donald Trump possa imbarcarsi in un piano di pace efficace, Abu Mazen non può permettersi di parlare solo per la Cisgiordania e lasciare fuori Gaza. In considerazione di questo scenario, la riconciliazione è sembrata l’unica opzione aperta. Un accordo che si potrebbe riassumere così: l’ANP e Fatah regneranno a Gaza nel mondo di sopra, Hamas il mondo di sotto, quello dei tunnel, quello degli arsenali.

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Abu Mazen, Barghouti e il “venerdì della rabbia”

Che venerdì dobbiamo aspettarci a Gerusalemme e in Cisgiordania? Per oggi Fatah, la principale componente dell’OLP ed espressione della dirigenza palestinese ha proclamato “un venerdì della rabbia” a sostegno dello sciopero della fame che quasi 1.300 detenuti palestinesi stanno portando avanti, guidati da Marwan Barghouti, il capo della milizia paramilitare Tanzim, in un carcere israeliano per scontare cinque ergastoli. Le richieste che sono alla base della protesta sono già state respinte dall’Israel Prison Service e lo sciopero al decimo giorno continua ma non ha intorno a sé nemmeno nel mondo palestinese quella solidarietà che in altre occasioni era stata espressa. Ecco i motivi del “venerdì della rabbia” e dell’assurdo invito dell’ala paramilitare Tanzim lanciato a ogni palestinese a scontrarsi ai checkpoint con polizia e esercito israeliani.

  Questo sciopero della fame appare come un disperato tentativo di Barghouti per riguadagnare posizioni dopo essere stato scartato da Fatah come vice leader a febbraio durante la convenzione del movimento di cui Abu Mazen è presidente. Il capo dell’Anp è fuori di sé per l’iniziativa di Barghouti. Il leader palestinese ha in agenda un incontro con Donald Trump alla Casa Bianca il 3 maggio. Gli sforzi diplomatici palestinesi per aprire la strada a questo colloquio certamente dai risvolti intriganti sono stati immensi. E l’ultima cosa che Abbas vuole è arrivare a Washington, mentre polizia di Israele e dimostranti palestinesi si scontrano ai posti di blocco, ma anche vedere gli attivisti del suo partito rovinare i suoi sforzi diplomatici.

   Grandi dimostrazioni di massa, nel “giorno della rabbia”, nonostante i continui appelli degli attivisti, sono improbabili, Ma non sono necessari decine o centinaia di migliaia di manifestanti per mandare la situazione fuori controllo in Terrasanta. Tutto ciò che serve sono un paio di palestinesi colpiti da proiettili israeliani a un checkpoint per innescare un fuoco divorante.