Tzippi Livni al Palazzo di Vetro Salam Fayyad in Libia

Si è compiaciuto oggi Netanyahu del veto posto dagli Usa alla nomina dell’economista Salam Fayyad, ex dirigente del Fondo monetario Internazionale ed ex premier palestinese, come inviato speciale per Onu in Libia, che prima del veto ordinato dal presidente Donald Trump aveva già ottenuto i 14 sì degli altri membri del Consiglio di Sicurezza Onu.

    Ma il nuovo segretario generale dell’Onu Antonio Guterres è fatto di una pasta diversa dal suo predecessore Ban ki-Moon. E dimostra di essere un bravo giocatore di scacchi.

   Sabato sera è cominciata a circolare la notizia in Israele di un prossimo incarico della signora Tzippi Livni, leader dell’opposizione, come vice-segretario generale dell’Onu. La più alta carica mai offerta a un cittadino israeliano nelle Nazioni Unite. La Livni e Guterres si sono già incontrati a New York la scorsa settimana.

  I ben informati sostengono che è in corso un braccio di ferro nei corridoi dell’Onu. Se gli Usa toglieranno il veto alla nomina di Salam Fayyad la strada della Livni (ottenuto il gradimento del Consiglio) sarebbe spianata. Spazi e ruoli si sono rimescolati nelle ultime elezioni in Israele e la signora Livni ne è uscita sconfitta. Ha fallito nel creare un alleanza “progressista” avviata con il Labour Party che comprendesse anche i centristi di Yesh Yatid di Yair Lapid. Per il suo partito – otto deputati alla Knesset – i consensi si sfarinano e il suo futuro politico immediato non appare così roseo. 

  Per la donna che un tempo fu paragonata a Golda Meir per il suo piglio, la sedia di vice-segretario generale sarebbe un’eccellente “escape” dalla vita politica israeliana. Le consentirebbe di maturare esperienze internazionali e alla fine del mandato Onu potrebbe concorrere per la presidenza e aspirare a diventare in Israele il primo capo di Stato donna. 

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Netanyahu, Obama e la 2334

Per il primo ministro Benjamin Netanyahu la posizione di Israele nel mondo è eccezionale e presto diventerà ancora migliore. E’ questa la convinzione che si nasconde dietro la serie di passaggi punitivi e drammatici che ha preso contro i 14 Paesi che hanno approvato la risoluzione contro gli insediamenti e l’occupazione di Gerusalemme Est, e chi come gli Stati Uniti a quel voto si è astenuto.

   Il voto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu del 23 dicembre che ha condannato la colonizzazione di Israele è stato il terzo clamoroso schiaffo per Netanyahu. Ma questa volta la reazione del premier israeliano è stata feroce. Ha convocato gli ambasciatori dei 14 Paesi il giorno di Natale (pensate se un ambasciatore israeliano venisse convocato il giorno di Yom Kippur quali polemiche ne scaturirebbero). Ha annullato aiuti, cancellato inviti e visite, ha rifiutato di incontrarsi con i leader di Cina e Gran Bretagna. Poi non pago di aver personalmente espresso la sua opinione al telefono all’ambasciatore Usa a Tel Aviv, ha accusato il presidente Obama di collusione e tradimento.

    Non è stata una reazione a caldo. Lo scorso week end in una riunione con suoi fedelissimi Netanyahu non ha smesso questi toni estremi e ha annunciato che Israele è all’inizio di un grande cambiamento. Il voto al Consiglio di sicurezza “dimostrerà di essere la goccia che ha fatto traboccare il vaso”, anzi è stato il punto di svolta che in realtà accelererà l’ascesa trionfale di Israele. E’ stato – ha spiegato – il canto del cigno del Vecchio Mondo che è prevenuto contro Israele. Ma ,“amici miei, stiamo entrando in una nuova era”. E in questo Nuovo Mondo tutte le nazioni avranno bisogno di ciò che solo lo Stato ebraico può offrire. Non è una minaccia di violenze. Piuttosto il modo di Netanyahu di avvertire le nazioni del mondo che non potranno più beneficiare di innovazioni dell’hi-tech israeliano così come delle sue competenze nella lotta al terrorismo e altre materie vitali nel mondo moderno – sui quali lo Stato ebraico non ha eguali –  se non cambiano il loro modello di voto su Israele.

Molti in Israele sostengono che la reazione di Netanyahu al voto dell’Onu sia stata sproporzionata. I meglio informati sostengono che la risposta di “King Bibi” è stata volutamente esagerata per mantenere le conseguenze del voto Onu in prima pagina e distogliere così l’attenzione dagli sviluppi di una indagine per corruzione, tangenti e truffa aggravata che lo vede direttamente coinvolto.

   Ma chi ha familiarità con Netanyahu conosce il posto che lui vede per Israele nel XXI° secolo e sa che queste manovre non sono destinate a oscurare i titoli dei giornali per un paio di giorni, ma sono parte integrante della sua politica estera. E’ certo che l’assistenza tecnica e di intelligence  sia più importante per il mondo che non la soluzione del problema palestinese. Ma sente anche che questo cambiamento non sarà rapido. E allora perché si scaglia così violentemente contro il presidente Obama che nelle sue ultime settimane di mandato potrebbe causare molti altri “danni ancora”? 

   Una parte della risposta è nella totale fiducia di Netanyahu nella posizione pro-Israele di Donald Trump. Per la prima volta, nei suoi diversi incarichi da premier, si trova a lavorare con un presidente repubblicano, che continua a ripetere che trasferirà l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, che ha nominato ebrei ortodossi che sostengono gli insediamenti in Cisgiordania, in posizioni chiave nei negoziati per il processo di pace. L’altra parte della risposta ha a che fare con il mantra di Netanyahu: Israele deve proiettare potenza e forza anche quando ha perso la battaglia.

  Ben presto saremo in grado di vedere se la profezia del premier su una nuova era fiorente di legami fra Israele e il resto del mondo si sta avverando. O se Israele, spinto in questa posizione innaturale nel confronto con gli altri Paesi, è destinato al crescente isolamento internazionale.